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Hollowblue “What You Left behind”

what_you_left_behindHOLLOWBLUE
“WHAT YOU LEFT BEHIND”
FORMAT: CDEP
CAT N.: SSD002
OUT: DECEMBER 2004
PRICE: 5,00 €

 

ssshop

 

 

 

Tracklisting: Black Birds / What You Left Behind / Io bevo (Feat. Anthony Reynolds) / Baker / Days of Wintry Hill / Triplex Sin

english

Hollowblue’s What You Left Behind is the second chapter of Suiteside Drive, a series dedicated to artists at their debut. But with the high quality songwriting of this band from Livorno, and expecially of their leader Gianluca Maria Sorace, is really hard to tell that this is their first release. Six tracks drenched with romanticisim, travelling close to Tindersticks, Divine Comedy, Gallon Drunk and Nick Cave.
hollowblueWarm sounds in which you can abandon yourself, thanks to the violin and the organ. A strong style that conquered Anthony Reynolds, once leader of the unforgotten Jack, and who signed as soloist releases on Acuarela and Secret Crush; Anthony created the vocals for Io Bevo, and he took part also in a surrealistic video clip.
What You Left Behind ask you only to be listened letting yourself wandering in its melancholy and sweetness.

italia

 What You Left Behind dei livornesi Hollowblue è il secondo capitolo di Suiteside Drive, collana dedicata a lavori di artisti esordienti.
Eppure la qualità del songwriting di Gianluca Maria Sorace a tutto fa pensare fuorché a un esordio. Sei brani intrisi di romanticismo, che viaggiano sulle coordinate di Tindersticks, Divine Comedy, Gallon Drunk e Nick Cave, con soluzioni timbriche calde e avvolgenti, grazie anche all’apporto costante del violino. Uno stile che ha conquistato anche Anthony Reynolds, già leader degli indimenticati Jack, e autore come solista di notevoli lavori su Acuarela e Secret Crush; Anthony ha creato un’indimenticabile parte vocale per Io Bevo, partecipando anche a un surreale videoclip. What You Left Behind chiede solo di essere ascoltato abbandonandosi alla sua irrecuperabile e dolce malinconia.

Un gruppo all’esordio che non solo canta in inglese, ma si nutre di un immaginario tardo-romantico tutto britannico. Ne è venuto fuori un buon disco a tinte cupe e archi in primo piano. Rumore
Motivi che si consumano tra romanticismi filo-patetici e rassegnate dannazioni terrene, tra malinconiche impennate orchestrali e pertugi crepuscolari. Chi si sente emotivamente legato a questo ‘sentire’ può tranquillamente accomodarsi al tavolo riservato, bottiglia di bourbon compresa. (7.0/10) Blow Up
C’è Anthony Reynolds dei Jack che canta la splendida, decadente e alcolica “Io bevo…” (memorabile l’incipit: “I drink because Keith Richards does and Madonna don’t”) in questo EP di esordio dei livornesi Hollowblue. Ma niente calligrafia, e nessun compiacimento da overdose estatica, nella sostanza delle canzoni, che in equilibrio sull’abisso volano leggere aggrappandosi a pianoforti pigiati con delicatezza, spazzole, vibrafoni, violini tesi e chitarre battenti. Eccellente esordio. Mucchio
Una scrittura persuasiva si accompagna a trame fra l`elettrico e l`acustico, in cui la malinconia è uno schizzo tanto sottile quanto palese. I risultati sono disegni, e non bozzetti, di paesaggi immersi in un ipotetico tramonto destinato a sfociare nella prima alba. Una nostalgia stritolante perché inevitabile e sincera. Kronic
Ciò che colpisce di Gianluca Maria Sorace è la capacità di citare la tradizione rock più “alta” senza tuttavia risultare emulo o passatista. (7.0/10) Sentire Ascoltare
Dal songwriting di Gianluca Maria Sorace emerge un quadro coerente, lineare, e molto personale. Melodie dolcemente malate di malinconia e ancora bagnate di lacrime interiori, ma in fondo tiepidamente ottimistiche. Freakout
Pur essendo un esordio, gli Hollowblue hanno la sicurezza espositiva dei veterani. La musica è una lasciva sfilata di ombre polimorfe e candidi abbracci; è ciò che si concede nella naturalezza più spoglia, che ben sa di poter essere ostacolata dai pericoli più sfuggenti. Idbox
Sei tracce per 26 minuti di suggestioni d’autore dove il pop incontra il noir e si mescola a venature dark che rimandano ai primi lavori di Nick Cave and the Bad Seeds (Black Birds, What you left behind) e alla struggente malinconia maledetta di Tom Waits. (3.5/5) MusicbOOm
Ascoltando i 6 pezzi che compongono quest’album si ha la sensazione di trovarsi a tu per tu con un gruppo già affermato: ottimi arrangiamenti, un campionario di strumenti molto variegato e ben sfruttato, un cantato piacevole e suadente che ricorda per stile Nick Cave, tutti questi elementi fanno di questo disco un ottimo esordio. Indiezone
Gli Hollowblue sono un frutto peninsulare assai promettente. Si applicano ad una forma di folk deviato e caldo dai contorni incerti, che non sa rinunciare all’aggressività (“Black bids”) ma si diversifica in maniera interessante pur frequentando quasi esclusivamente i tempi medi e neri della ballata Caveiana, magari condita da tenere ambizioni jazz (“Baker”). Indiepop
E’ molto interessante vedere come un lavoro collettivamente ispirato abbia potuto far sbocciare pezzi già notevoli. La collaborazione con Anthony Reynolds dei Jack ha dato vita all’intensa Io bevo, la cui oscurità alla Waits si costruisce sull’ossessivo battito della batteria, l’impalpabilità degli archi e l’intreccio di voci a definire il lato più intimista di Hollow Blue (“ I drink, not to forget but to recall my childhood”). Un ascolto ideale per la stagione delle nebbie e della pioggia. Music Club
Piaceranno a chi ama le tonalità scure che dalla new wave conducono alla canzone d’autore. Il breve cd sorprende piacevolmente per intensità e stile. Tra citazioni impegnative (“Baker”) e timbri notturni, il disco si lascia ascoltare e colpisce per classe e maturità. Di Radio
OK, it’s rather a short album at six tracks and only about half an hour, but for sheer beauty alone it merits more than the EP label. Melancholy, meditative, meandering… a mix of plaintive vocals with a Chris Martin touch, acoustic and the occasional electric guitar, soft strings, delicate percussion. The Chet Baker influence is strongest in the exquisite track called… Baker, in which limpid piano and gentle percussion provide a very soft jazz feel. This is a stunning introduction to a welcome new band. MusicOMH

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